“Saggi scelti. Vol. 1” di Lucia Bonanni. Recensione di Cinzia Baldazzi

Recensione di CINZIA BALDAZZI

Nell’impresa che abbiamo del vivere, molte volte mi sono chiesta il perché qualcuno decida di scrivere. Di fatto il quesito investe per lo più poeti e autori di prosa ma non solo, in quanto la comunicazione scritta, in specie nella nostra epoca telematica, investe ogni campo compreso quello di natura critica da me esercitato e del quale questo libro Saggi Scelti – Volume 1 [I Classici – CTL Editore Livorno, 2021] di Lucia Bonanni rappresenta un ottimo modello.

Durante la prima metà del secolo scorso, in uno studio dedicato a “Che cos’è la letteratura?”, Jean-Paul Sartre dichiarava: «Ognuno ha i suoi motivi: per qualcuno l’arte è la fuga: per qualcuno altro un mezzo di conquista. Ma si può fuggire in un eremo, nella pazzia, nella morte; si può conquistare con le armi. Perché proprio scrivere, effettuare per scritto le proprie evasioni e le proprie conquiste?». Difficile formulare una risposta autobiografica ma per quanto riguarda le opere preferite, in genere riesco a formulare ipotesi attendibili fondate sulla convinzione che la struttura letteraria prescelta, nel volume considerato “esegetica”, pur non potendo e non volendo essere una sorta di  specchio delle realtà espresse o di un relativo punto di vista, ne sia in tutte le sfumature una sua valida e calcolata alternativa in cui ognuno può custodire e alimentare ciò che vuole e crede sia opportuno proporre: in primis, è ovvio come autore-autrice, in secondo luogo nel ruolo di colui o colei che ne rappresenta il destinatario prescelto o casuale.

Dunque per quale fortunata circostanza Lucia Bonanni in una vita densa di esperienze ha, come si diceva un a volta, preso “la penna in mano” per condividere il personale concetto del mondo, dell’arte in generale? Forse le è accaduto qualcosa di simile alle tanto amate Laren Simonutti e Anne Sexton delle quali spiega: “Le opere di entrambe sono autobiografiche sempre permeate da senso della realtà, dal comportamento e dalla conoscenza del dolore e talvolta anche della gioia come pure della spiritualità che fa risaltare le loro opere e le identifica a sublimare con una “supreme fiction” che riesce a sublimare e dare stabilità agli elementi negativi che assillano la loro vita interiore e sanno appagare la loro innata creatività”. In effetti la nostra scrittrice nelle vesti di poetessa o di critica suggerisce stati d’animo o situazioni emotive   ricche di una spiritualità non comune all’altezza di intrattenere rapporti strettissimi con il microcosmo circostante di Federico G. Lorca: «Descrive la musica della chitarra come un pianto malinconico, sentito all’alba, assimilando lo strumento musicale con il movimento de elementi naturali quali l’acqua e il vento».

D’altro canto appare perfettamente in grado di trascinare con i suoi enunciati parole oltre l’immediato conducendo in un campo semantico sottointeso e non esplicito o scontato come quando analizzando “La favola del figlio cambiato” di Luigi Pirandello, chiarisce: «Nell’azione delle Fatae, altro nome latino delle Parche, esseri magici e spiriti della natura che presiedono il Fato, nel sostituire i bambini, si scorge il senso della vita concepita e attesa al pari di una disgrazia, una malattia, un sortilegio, una sventura. Similmente i neonati sembrano deformi, raccapriccianti quanto i segni della non accettazione e della non significanza di un sentimento vitale».

Certo una tale ossatura logico-intuitiva di messaggio è anche favorita dall’immensità del campo di pertinenza interessato, in quanto è nel giusto Lorenzo Spurio nell’affermare: «Impossibile da elencare qui i numerosi riferimenti e collegamenti che la Bonanni produce a coprire ogni branca del sapere: le Sacre Scritture, la mitologia classica e norrena, la musica classica, il modo folkloristico spagnolo (…)». Al di sopra dell’intero repertorio avanza un intento esegetico letterario, e non solo, adeguato a schivare preclusioni scettiche e pregiudiziali fuorvianti impegnato com’è a costruire conoscenza  e comprensione adeguate ad un giudizio critico comunque distaccato e non compromesso con le tematiche culturali affrontate risultando di loro sempre protagonisti,  e mai  fatalmente condizionato.

Tra le righe di questi saggi riemergono emozionanti e rassicuranti le parole che Walter Binni dedicava negli anni Settanta agli autori in generale elogiandone «Lo sfondo culturale animato dalle preferenze personali (…) quella certa maniera storicizzabile e suscettibile di formare scuola (…) è un gusto che ha radice in una ispirazione naturale che si complica su se stesso».

Quale messaggio principale, in sintesi, si percepisce leggendo quest’opera di Lucia Bonanni? Direi che possa intravedersi- sfumata per un’ineluttabile tensione interiore alla riservatezza, ma in realtà rilevante e perspicace – una coinvolgente icona della condizione della cultura contemporanea la quale matura consciamente grande consapevolezza del passato e del presente insieme alle dolorose fratture (anche recentissime) sempre lì a spingere per l’abbandono, per la resa, ma che noi, ascoltando il consiglio della Bonanni, rifiuteremo: «Così la strada, l’attesa, la solitudine, il silenzio, la stasi del tempo, l’incomunicabilità e l’ignoto sono soglie di verità e apparenza nella continua ricerca di una nozione del mondo, luogo del vivere che possa ridare identità a se stessi per costruire una semantica di relazioni profonde all’intero di quella commedia umana costruita di dimensioni di gestualità e scambi profondi».

CINZIA BALDAZZI


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